Ci sono catene che non tintinnano, ma stringono. Sono fatte di parole. Ogni giorno, senza accorgercene, ripetiamo formule che appartengono a un mondo ormai superato, a una cultura patriarcale che continua a vivere attraverso il linguaggio. Diciamo “uomo” per intendere “umanità”, “padreterno” per nominare il divino, “lavorare come un mulo” per esprimere fatica, “essere isterica” per sminuire un’emozione. E così, a ogni parola, rinnoviamo inconsciamente un’alleanza con l’antico potere dell’archetipo maschile dominante: colui che definisce, delimita, controlla.
Liberarci dal patriarcato non è una battaglia esterna, è una trasformazione interiore e linguistica. Il linguaggio è il respiro della mente collettiva: cambiare il modo in cui parliamo significa cambiare il modo in cui pensiamo, amiamo, creiamo.
[idarticle id="2594457" title="Un uomo contro il patriarcato: ''L'anniversario'' di Andrea Bajani vince il Premio Strega 2025"] Cultura patriarcale: le parole come semi Nel linguaggio immaginale ogni parola è un seme: contiene un’immagine, un mito, un’intera cosmologia. Quando pronunciamo una parola, evochiamo un mondo. Dire “signora” o “signorina”, ad esempio, non è neutro: evoca il potere di un maschile che definisce la donna in base alla sua relazione con un uomo. Anche frasi innocue come “dietro ogni grande uomo c’è una grande donna” o “non fare la femminuccia” conservano un retaggio di gerarchie simboliche che si sono radicate nel corpo e nella psiche collettiva.
La decolonizzazione del linguaggio comincia nell’intimità: nel modo in cui parliamo a noi stesse. Ogni volta che diciamo “non valgo abbastanza”, “sono troppo sensibile”, “è solo un’intuizione”, stiamo sottomettendo l’anima femminile alla logica maschile della misura, della forza e del controllo. Ma il femminile è un linguaggio circolare, non lineare. È fatto di pause, silenzi, intuizioni, immagini, gesti.
[idarticle id="2658040, 1651643" title="Sanae Takaichi prima ministra del Giappone: è la prima donna nella storia (e in un Paese patriarcale)"] L’immersione nei boschi [caption id="attachment_2637082" align="aligncenter" width="667"] Selene Calloni Williams invita a prestare attenzione alle parole che contraddistinguono la cultura patriarcale[/caption]
“Ogni volta che entro nel bosco, sento che le parole si ritirano come onde. Restano i suoni più antichi: il fruscio delle foglie, il respiro della terra, il canto dell’acqua. È come se il linguaggio della natura mi insegnasse di nuovo a parlare. Gli alberi non nominano, evocano. Non dicono ‘questo è un confine’, ma mostrano il modo in cui la luce si trasforma attraversandolo. In quella lingua silenziosa e viva, capisco che la parola non serve a possedere, ma a partecipare. Ogni sillaba diventa un atto di appartenenza, una foglia che cade e si lascia portare. Quando ritorno dal bosco, anche le parole umane mi sembrano più leggere, meno dure, più capaci di respirare”.
Questo passo ci ricorda che il linguaggio non nasce per dominare, ma per appartenere. Ritrovare la lingua del bosco, la lingua del silenzio, della reciprocità e della cura, è un modo per ricucire l’antica ferita tra parola e mondo, tra maschile e femminile. Descrivo questo meraviglioso cammino, di cui la natura è la prima e ultima Maestra, nel mio libro Shinrin Yoku, l’immersione nei boschi, in cui attraverso meditazioni e rituali indico alle donne una strada di grande respiro
[idarticle id="2635369" title="Selene Calloni Williams: dal dolore alla rinascita nel libro ''Diario di una Sciamana''"] Il silenzio come rivoluzione Nel buddhismo si dice che “la parola nasce dal silenzio e muore nel silenzio”. Il silenzio è la matrice di ogni linguaggio: è la madre delle parole. Ritornare al silenzio significa ritrovare la libertà originaria, prima che il linguaggio diventasse strumento di potere. Nel silenzio, le parole si purificano. Si spogliano delle convenzioni sociali e tornano a essere mantra: vibrazioni di verità, carezze di presenza.
Liberarsi dal patriarcato, allora, è imparare a parlare dal silenzio. Non per dire di meno, ma per dire da un luogo più profondo. Non per eliminare il maschile, ma per riconciliarlo con il femminile.
[idarticle id="2544111" title="L'Agorà di Selene Calloni Williams: «Abbracciamo la natura con il forest bathing»"] Dal “dire” al “creare” [idgallery id="2244165" title="Linguaggio consapevole: come imparare a usare le parole nel modo giusto"]
Ogni volta che trasformiamo una parola, trasformiamo il mondo. Possiamo iniziare con piccoli gesti:
sostituire “uomo” con “essere umano”; dire “creatrice” invece di “autore”; riconoscere la forza delle parole intuitive, poetiche, sensuali, come veicoli di conoscenza; parlare con amore, non per dominare ma per condivi...
Commenta prima di tutti