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  • 1 giorno fa
Esempio di grazia, dolcezza e sensualità, Juliette Binoche ha interpretato molte donne nella sua carriera nel cinema: forti, fragili, malinconiche, abbandonate, indipendenti e sensuali. Quest'anno, però, l'attrice francese arriva al Torino Film Festival nei panni di se stessa come regista di In-I In Motion, opera di debutto alla regia tra i titoli in Concorso per il miglior Documentario.
In occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, le è stata conferita la Stella della Mole. In conferenza stampa l'attrice ha colto la ricorrenza per esprimere riflessioni profonde su identità, potere e libertà femminile. «Le donne non dovrebbero mai essere toccate o sfiorate. La violenza è una perversione inaccettabile».
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«Smettiamo di credere alla favola dell’uomo che ci protegge»
Nel giorno dedicato alla lotta contro la violenza sulle donne, Binoche non usa giri di parole. «Alle donne viene insegnato che la forza va cercata fuori, spesso in un uomo. Ma la nostra forza è innata: dà la vita, protegge, resiste». La narrazione della “forza maschile” è un’illusione che ha condizionato anche lei. Nonostante sia cresciuta con una madre indipendente e femminista, ha creduto per anni che esistesse “l’uomo forte” capace di proteggerla. «Poi ho capito che quella figura non esiste. La forza reale nasce da uno spazio più profondo, dove uomini e donne possono incontrarsi come esseri spirituali».
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Le registe e la possibilità di esprimersi
Juliette Binoche riflette anche sul panorama cinematografico attuale, con uno sguardo particolare alle donne dietro la macchina da presa. «Oggi le registe hanno più spazio per esprimersi rispetto al passato», osserva. «In Francia questa apertura è evidente, mentre negli Stati Uniti resta più difficile emergere. Alla fine, non conta semplicemente dirigere un film, ma avere qualcosa da raccontare, da comunicare. È questo desiderio di condividere che davvero fa la differenza».
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Il debutto alla regia: un viaggio nel corpo e nell’anima
Il film presentato a Torino ripercorre la creazione dello spettacolo In-I, nato nel 2007 insieme al coreografo Akram Khan. Un’esperienza che per Binoche è stata «una vertigine fisica ed emotiva». A convincerla a trasformarlo in un documentario è stato Robert Redford, dopo averla vista sul palco. La danza, racconta l’attrice, costringe a un'esposizione totale: «Il corpo ti spinge oltre i tuoi limiti, senti il cuore esplodere. Ma se credi davvero in ciò che fai, ti crescono le ali».
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I tre "no" a Steven Spielberg di Juliette Binoche
Juliette Binoche ricorda con chiarezza le tre volte in cui disse “no” a Steven Spielberg. La prima, racconta, fu perché «stavo realizzando Gli Amanti del Pont-Neuf, cercavamo il budget per chiuderlo». La seconda proposta riguardava Jurassic Park: le era destinato il ruolo di Laura Dern, ma Binoche spiega: «Avrei fatto volentieri un dinosauro, ma volevo qualcosa di più stimolante», perché nel frattempo Kieslowski le aveva proposto Film Blu. La terza volta fu per Schindler’s List: «Ero incinta, e il ruolo di una donna torturata, violentata e uccisa non faceva per me in quel momento». Binoche ha spiegato che Spielberg  «era più interessato ai personaggi maschili che a quelli femminili. Come Scorsese, fa parte di una generazione di cineasti appassionati a storie di guerre, di killer, di violenza».
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Arte che trasforma: il cinema come rivelazione
Per Binoche l’arte ha senso solo quando cambia qualcosa dentro di noi. Ricorda il primo film che l’ha scossa: La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer. «Mi ha stregata. L’arte deve essere questo: uno shock che ti apre uno spazio nuovo». Così l'attrice vive anche la recitazione: un attraversamento delle zone oscure di sé, un atto di coraggio e conoscenza. «Se un film non trasforma chi lo guarda, è tempo perso».

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