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Arrivederci Berlinguer!
Ilcinematografo
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1 anno fa
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Il film spesso sono plurali, almeno nella sua fase germinale, ideativa, e in questo
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caso due persone, quelle quali abbiamo buonissimi rapporti professionali e di reciproca stima,
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il primo è Riccardo Costantini, direttore del Pordenone Doc Festival e di Cinema Zero
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di Pordenone, il secondo è Luca Ricciardi, il direttore dell'AMMOD, dell'archivio del
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Movimento Operaio, ci hanno coinvolto proponendoci di realizzare un film documentario a partire
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dal film Addio a Berlinguer, realizzato in concomitanza dei funerali del leader Maximo
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Daiga, alcuni, molti, dei maggiori cineasti italiani dell'epoca, una proposta che ha sfodato
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subito i nostri interessi, che abbiamo raccolto con entusiasmo e con un pizzico anche di trepidazione
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e di preoccupazione, per cercare di essere all'altezza del compito, che ci interessava
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sia per il tema col quale ci saremmo confrontati, sia un po' per la nostra storia di cineasti,
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perché in tutti i nostri film abbiamo sempre lavorato con i materiali d'archivio e anche
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in questo caso, come dire, lavorare con i materiali d'archivio è per noi molto stimolante,
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vitale, importante, la storia è sempre contemporanea e quindi il punto prospettico attraverso il
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quale filtri, analizzi, utilizzi il materiale d'archivio ha a che fare sempre con l'oggi
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e quindi ci siamo gettati capofitto in questa nuova avventura cinematografica coinvolgendo
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Massimo Zamboni, col quale avevamo già collaborato precedentemente nel 2012 per un altro nostro film
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documentario dal titolo God Save the Green, da allora eravamo rimasti in rapporto con Massimo,
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perché con Massimo si è saldato un rapporto amicale e una stima professionale reciproca,
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Massimo ha accettato subito, di buon grado, senza pensarci un attimo, anche se era impelagato col
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lavoro e pieno di impegni, e con lui abbiamo costruito il film, pensandolo già sin dall'inizio
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come un film nel quale avremmo voluto coinvolgere emotivamente gli spettatori e utilizzare l'apporto
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di Massimo per l'elaborazione di una drammaturgia musicale, che potesse appunto accompagnare come
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un altro racconto, un racconto emotivo, empatico, a tratti liturgico, la partitura del film, e così è stato.
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L'emozione è stata una ricerca specifica su due livelli, nel senso che da un lato noi abbiamo
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lavorato sulla costruzione della sintesi visiva, stringendo quindi i materiali originari e
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ricomponendoli all'interno di una nuova partitura visiva che contemplasse Berlinguer vivo, cosa che
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l'antico Berlinguer non c'era, perché erano solo i funerali, e si sono integrati, si sono incastrati
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questo montaggio con la partitura musicale, che non è una corona sonora, che non è un'aggiunta,
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ma che è un elemento costitutivo di questo film, di questo progetto cinematografico. È una sinfonia
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che si intreccia con la sinfonia delle immagini e genera verticalmente delle possibilità di senso e
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soprattutto delle possibilità di emozione. E questo è un intreccio bello che è avvenuto
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tra il nostro lavoro sulle immagini e il lavoro di Massimo su un'idea di dramaturgia musicale.
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Volutamente abbiamo tolto tutte le voci che ci sembravano superfoli, abbiamo lasciato Berlinguer
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e il suo popolo, diciamo così, il popolo del partito comunista prevalentemente, quindi le due
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voci. Da un lato c'è Berlinguer e dall'altro diciamo che il popolo forse è la chitarra dei
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zamboni, non lo so, è la musica dei zamboni che incarna la flauta e il sentire. E poi anche di
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queste scritte al PC abbiamo selezionato a blocchi, quindi ci sono i bambini, ci sono i esponenti
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della sezione di Enrico Berlinguer a Roma, quindi quelli che lo conoscevano non tanto come segretario
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quanto come altro militante, altro iscritto. E come unico rappresentante del mondo extra politico
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abbiamo tenuto Benigni, perché era un elemento, anche quello molto simbolico, molto forte, è una
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cosa rimasta molto nell'immaginario dell'italiano, quel momento al pincio, quel preciso comizio.
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Il resto è proprio un dialogo fra Berlinguer e il popolo che va alle esequie e la chitarra,
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abbiamo deciso di lasciare molto spazio alla musica dei zamboni, l'idea originaria è quella
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di avere la sinfonia che agiva insieme alle immagini. Ritrovarsi all'interno di quelle
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immagini, di quel pezzo di vita della nostra Repubblica, è ancora oggi molto forte,
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coinvolgente, perché quel bagno di folla rappresenta tanto per la storia non solo politica,
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ma anche per la storia culturale e sociale del nostro Paese, perché è anche un ritratto sociale
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di un'Italia che non c'è più, perché in quel bagno di folla stanno insieme, convivono civilmente
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insieme rispettandosi ceti distantissimi gli uniti dagli altri. Il picchetto funerario composto
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dall'elite cinematografica di maggior pregio di quegli anni, in cui figurano Gillo Pontecorvo,
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Scola, Antonioni, Fellini e gli operai che vengono dal sud Italia o dalla Sardegna,
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facendo degli sforzi micidiali per partecipare a quel momento, si dà testimonianza diretta di un
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popolo variegato, di un oceano di cittadini che in alcuni ideali trova un punto di sintesi e di
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riconoscimento. Ideali rettitudine della politica, senso egualitario, giustizia sociale, diritto al
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lavoro, diritto di emancipazione delle donne, tutti quei valori portanti dalla sinistra del
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PC, così ben comunicati e incarnati, innervati dal suo leader massimo, trovano riscontro nella
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società civile, come si mostra nel film, in una partecipazione oceana e senza fine.
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Questo è altamente significativo per la nostra storia e se pensi comunque che è successo 40
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anni fa, quindi non nel giurassico, è un tratto che ancora marca un'impronta rispetto alla
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riflessione sull'oggi, sul presente, su ciò che siamo stati ieri l'altro. Marca un'impronta
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molto forte, che non significa un ricordo nostalgico, un ritorno al passato, significa
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rimettere comunque in campo la possibilità di pensare probabilmente la politica anche in un'ottica
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diversa, in grado di abbracciare comunque un pensiero di lungo raggio, in grado di coinvolgere
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esponenti di valore e che sappiano come comunicare, ma che abbiano anche preparazione politica, cultura, dignità.
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Se vogliamo essere chiari davanti ai lavoratori, dobbiamo dire che un problema come quello della disoccupazione in Italia,
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che tocca milioni di persone, è un problema che richiede un cambiamento abbastanza radicale
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della società e della politica economica.
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Il film è per il presente, è per l'oggi, il cinema è per l'oggi e anche Arrivederci Bergamo è per l'oggi,
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per emozionare le persone e attraverso le emozioni comunque farle riflettere, farle riflettere e farle pensare
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sulle contraddizioni del nostro tempo, sulle discrepanze e sulla distanza a volte che c'è tra elettorato, cittadini e politica, su tanti temi.
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Era un uomo bravissimo, era proprio bravo.
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Ce ne sono altri bravi?
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No.
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Speriamo di sì.
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Le immagini che ci sono nel film sono tutte appunto dell'archivio audiovisivo del Movimento Paralelo Democratico,
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che raccoglie un lascito di decenni di tutto il materiale filmato a vario titolo dai sindacati,
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istituti granici, partito comunista, quello che era all'epoca il partito di minoranza,
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perché il partito di maggioranza era la democrazia cristiana.
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Avevamo voglia di raccontarlo anche in presenza, quindi non soltanto in assenza,
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e per raccontarlo in presenza ci serviva lui da vivo, che parlasse.
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Abbiamo selezionato le parti che ci sembravano più interessanti, che avessero un filo conduttore con il presente molto marcato
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e che mettessero in scena, quindi da questo punto di vista i contenuti della scelta,
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ma che mettessero in scena contemporaneamente anche un'immagine del politico più inattesa, più inaspettata.
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Quindi c'è la prima parte, che è il comizio, in cui non lo si vede, è tutto in assenza,
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si sente solo la sua voce, ed è il comizio degli 11 milioni di elettori,
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quando il partito comunista stava per fare il sorpasso che poi fece,
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una cosa che ricordo da ragazzino è che dopo la morte di Berlinguer ci fu un sorpasso,
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agli europei il partito comunista superò la democrazia cristiana.
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Si disse, ah perché è morto Berlinguer, quindi c'è l'asfalto.
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Le altre immagini che abbiamo cercato sono, ad esempio, l'incontro con l'imperale Alfa Sud,
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o la partecipazione alla tribuna politica, anche quello è qualcosa che ha un sapore quasi da carosello degli anni Sessanta,
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quando si parla del divorzio.
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Quindi qualcosa che mettesse in scena i suoi contenuti, ma anche il contesto di questi contenuti,
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quindi anche la società, come diceva prima Michele, cioè il mondo attorno a lui e a che società si rivolgeva.
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Perché lavorare con gli archivi è sempre rienterpretare qualcosa, riportarlo al presente,
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e quindi lavorare di confronti, di paragoni, di fratture, di giochi anche.
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Abbiamo lavorato sulla color, abbiamo lavorato in una dimensione filologica nell'utilizzare materiale d'archivio,
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cioè cercando di mantenere fede a quel materiale d'archivio esaltando un pizzico il rosso,
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insomma principalmente il rosso, che poi è il colore dominante della piazza e del PC di quel momento.
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Rosso fuoco.
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Che fuoco sperate di lasciare avvampare dopo tre giorni che speriamo poi siano,
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perché uscirà appunto in sala per tre giorni, evento speciale.
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Speriamo che diventino tre mesi.
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Un Rocky Horror Picture Show del comunismo.
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Sottotitoli e revisione a cura di QTSS
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