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  • 2 giorni fa
Nel libro «Invincibili», Nello Trocchia racconta l’ascesa silenziosa e spietata della criminalità albanese in Italia, intrecciandola con le falle politiche, giudiziarie e sociali degli ultimi trent’anni. Del suo libro si parla da giorni nei talk albanesi e ne parlano i deputati di opposizione per le rivelazioni contenute.  Inviato del «Domani», Trocchia è autore dello scoop sui pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e ha scritto inchieste su mafie e malaffare politico.Come inizia questa storia?«Con l’arrivo degli albanesi in Italia a bordo della "Vlora", l'8 agosto 1991: quelle immagini ce le ricordiamo tutti. Dal porto di Bari, quel popolo viene accolto da odio e manganelli ma anche da solidarietà».E poi cosa succede?«Il problema è questo: se da una parte abbiamo criminalizzato le migrazioni e fatto la guerra ai poveri, ci siamo completamente scordati dei narcotrafficanti. Gli albanesi che sono diventati malavitosi sono cresciuti e sono stati allevati dalle mafie tradizionali attraverso la fornitura di ciò che serviva alle mafie italiane: armi dopo la disgregazione dei regimi comunisti in Jugoslavia e Albania, il traffico di esseri umani — di chi scappava perché povero — e il traffico della prostituzione che la malavita albanese gestiva quando molti clan italiani non lo facevano più. E poi la violenza: la dose di violenza garantita per il recupero crediti. Tutto questo, dal punto di vista delle forniture e del patrimonio criminale, ha dato agli albanesi la possibilità di diventare oggi una mafia egemonica in Europa».Cosa c'entra Roma?«Roma è il trampolino di lancio perché lì i narcotrafficanti albanesi hanno imparato tantissimo. Hanno imparato a fingersi tossicodipendenti. Nel libro racconto la storia, incredibile per i silenzi della politica e dell’opinione pubblica, di un narcotrafficante, Dorian Petoku, che ho scoperto essere in una comunità di recupero con i sodali di un tempo. Lui, trafficante di droga, si dichiarava tossicodipendente grazie ai documenti che aveva fornito. Ho denunciato tutto, ma non è servito. Oggi Dorian Petoku è a Dubai, in attesa di estradizione, perché è scappato dopo le mie inchieste. L'altra cosa che hanno imparato a Roma è quella di fingersi pazzi. Poi hanno intrecciato rapporti con vip e si sono inabissati dentro reti di contatti ovviamente anche con professionisti. A Roma c’è stato anche l’ultimo albanese Fabrizio Piscitelli, ucciso il 7 agosto 2019, il narco-ultrà con contatti nel mondo di sotto e in quello di sopra. A Roma esiste questo legame tra neri, criminali e curva. Lì si struttura una delle colonne romane. Sono tante e oggi hanno un ruolo importante nel narcotraffico: Roma è una città del narcotraffico e soprattutto del riciclaggio».Il futuro?«La malavita albanese di fatto già oggi parla alla pari con la ’ndrangheta. I porti di Anversa e Rotterdam sono nelle mani anche di blocchi albanesi che si dividono in cellule. Un pentito di una delle cosche più potenti della ’ndrangheta, Mancuso, mi ha detto: "Attenzione, c’è una differenza con noi. Loro hanno una struttura familistica, sono volatili, si sanno strutturare bene e hanno un esercito di prestanome. Noi, come ’ndrangheta (Mancuso oggi è collaboratore di giustizia) non li abbiamo più perché c’è un patrimonio conoscitivo sugli uomini e le teste di legno legati alla ’ndrangheta". Quindi, non esiste questo patrimonio investigativo sulle teste di legno e i prestanome albanesi».La «mafia» albanese è presente anche a Milano?«Sì. Però precisiamo che quando parliamo di mafia parliamo di malavita strutturata visto che in molti tribunali non è stata ancora riconosciuta la parola e l'accusa di “mafia”. Quando si è costituito il consorzio tra ’ndrangheta, camorra e mafia siciliana, a Milano, ora c’è un processo che si chiama Hydra, sono emersi rapporti con la politica e mondo delle imprese. C’erano gli albanesi, eccome se c’erano. Nei vertici, per picchiare e intimidire, per riciclare soldi, per iniziare a sedersi a quel tavolo e partecipare alla spartizione».Perché esistono le mafie o comunque la criminalità organizzata?«Le mafie sono un potere, esistono quando gli altri poteri sono cedevoli o incapaci di costruire un’egemonia e un patto fiduciario con le comunità. Ma esistono anche quando gli altri poteri se ne servono. Il potere mafioso, storicamente, è stato utilizzato come servitù criminale da altri poteri in fasi importanti. Negli anni ’90, con la crisi del comunismo in Albania e il capitalismo feroce del sistema delle piramidi finanziarie che mandò sul lastrico molti albanesi, i sistemi criminali albanesi sono stati fondamentali per organizzare arrivi, traffici e risposte anche in Albania. Assaltavano armerie e rispondevano alle esigenze delle mafie italiane, ma anche di poteri albanesi incapaci di affr...

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