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Pietro Marcello: la nostra intervista al Lucca Film Festival
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2 giorni fa
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Pietro Marcello, grazie della sua disponibilità di questo film meraviglioso che è presentato a
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Venezia e che vi presenti qui al Look Film Festival. Tu raccontavi a Venezia ami personaggi in rivolta,
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ami personaggi ribelli e questa è un'esperienza davvero, come l'ho definita, un grande affresco
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girato e interpretato in stato di grazia. Volevo sapere cosa ti lascia un film del genere da regista.
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Innanzitutto è stata un'esperienza bellissima perché ho pensato a Valeria Bruno Tedeschi fin dai
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primordi quando lavoravamo alla sceneggiatura con Letizia Pusso e Guido Silei. E' un film che non ha
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avuto un casting perché ho pensato subito a Valeria Bruno Tedeschi perché è una bravissima attrice
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nonché una bravissima regista. Ho pensato a lei perché mi interessava lo spirito della luce,
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mi interessava ricreare la figura di questa eroina, di questo talento intrinseco innato,
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mostruoso, bestiale, perché bisogna immaginare una donna a fine ottocento in un mondo maschio dove le
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donne erano relegate ai tuoli passivi e di questa donna che si muoveva in questi spazi, in questi
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ambienti, di questo teatro che era un vecchio teatro, un teatro ancora manierista dove lei era
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profondamente moderna e di una donna che ha trasformato anche il teatro moderno. Non a caso
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era amata da Chekhov che la citava in Gambiano, Charlie Chaplin era tanto amata dagli americani,
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dai russi. In Francia era meno conosciuta ma già allora era un mito. Mi interessava ricreare
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questo momento storico che erano i primordi del novecento, l'inizio del nuovo secolo e che attraversa
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anche la grande guerra in un momento di dissoluzione importante. È difficile intercettare lo spirito di
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un personaggio del genere. Quanto è stato diciamo difficile o anche come dire complesso cercare di
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raccontare lo spirito e non soltanto il successo di un grande personaggio come è stata la Duse?
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Ma non credo che ero adatto per fare un biopic. Non mi interessano i biopic in fondo perché non
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credo di avere questo arbitrio per dire chi era la Duse. Tra l'altro abbiamo tanti carteggi della Duse,
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tante descrizioni. Abbiamo un film che è Cenere dove la vediamo, che si muove in questi spazi. C'era
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una registrazione sonora di Edison che è andata perduta, tra l'altro. Quello che mi interessava
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era più ricreare questo spirito di una donna che era un tutt'uno corpo, anima, arte, vita,
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in fondo. Ascolta, tu sei un grande documentarista, quindi prima della Di Bella è Perduta che lo ricordavamo
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prima, la telecamera è spente, compie dieci anni, tu hai fatto dei grandissimi lavori di documentario
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e anche questo film tra l'altro è dedicato a Goffredo Fofi, quindi una persona, un personaggio
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che insomma è stato significativo per te. Volevo intanto chiederti due cose. Uno, cosa ha rappresentato
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Fofi per te, non solo a livello personale ma a livello proprio artistico e dall'altro che cosa la
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regia, che cose il dirigere ti ha insegnato diciamo più su di te come persona. Ma sai,
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io vengo dal documentario, il documentario si basa sull'imprevisto, per me l'imprevisto è
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l'infamitale perché credo che la sceneggiatura sia un'opera incompleta perché c'è la trasposizione
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finutica e in un certo senso mi piace tradire la sceneggiatura perché mi piace poter trasporre
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e rubare quegli attimi attraverso l'imprevisto. Non a caso anche Valeria è fatta come me e
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grazie al nostro aiuto regia che era Ciro Scoglia Miglio ci riusciva a ritagliare sempre lo spazio
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per inventarci qualcosa di nuovo. Poi in un certo senso il documentario questo mi ha insegnato
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a fare un po' tutto attraverso l'osservazione, a saper montare, a saper girare un film perché
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poi io sono sempre in macchina, mi piace essere dietro la cinepresa e questo mi ha dato il
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privilegio di poter avere un rapporto diretto con i miei attori. Riguardo a Goffredo Fofi,
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Goffredo è stato un grande educatore, ha educato tanti di noi. Io quando l'ho conosciuto facevo
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il trasportatore, facevo altri mestieri e grazie a lui ho potuto studiare, ho potuto inventare
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un mondo anche con rigore perché ero un uomo profondamente rigoroso e per 30 anni ho avuto
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il privilegio di poter stare accanto a lui. Questa è stata, probabilmente mi ha dato la possibilità di
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fare quello che faccio oggi. Ascolta tu sei un autore molto autocritico con te stesso, cioè sei una persona
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che si giudica molto quando lavora oppure insomma ti concedi anche diciamo delle libertà creative,
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cioè sei una persona che si autodisciplina molto? Sì, forse probabilmente era quello che dicevamo
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prima, sarà stato perché sono cresciuti in mezzo ai fufiani, probabilmente sì, anche se poi mi piace,
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sono morso al cinema, mi piace il cinema ma non mi appaga più abbastanza perché credo che quello che
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bisogna fare è creare scuole popolari, dedicarsi ai giovani, la necessità del fare, di lasciare un
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mandato ad altri e dedicarsi ai giovani, specialmente in questo momento storico dove regna
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l'Ignavia, dove regna la confusione totale, anche perché io appartengo a un momento storico che non è
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tanto diverso da quello che racconto nel film, c'è qualcosa in comune con il film dove niente è vero,
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tutto è permesso e viviamo in un mondo che è il mondo dell'Ignavia, dove i Gnadi non erano accettati
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neanche all'inferno, probabilmente bisogna guardare di più alla finestra quello che succede intorno a noi.
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Quello che dicevi a Venezia mi aveva colpito molto, cioè quando parlavi di disobbedienza civile,
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che è una cosa che in questo momento è al centro un po' dell'interesse necessario,
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anche come dire dare forse maggiore attenzione anche a quei momenti, quelle azioni che passano
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inosservate ma che invece sono, come dire, dovrebbero avere luce maggiore rispetto a quello
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che è anche il messaggio che devo dare. Tu raccontavi anche a Venezia qualcosa legato al porto di Genova
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perché avevo letto, ero rimasto colpito, che è un po' quello che ho letto sui libri,
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che immaginare una rivoluzione al basso, una disobbedienza civile al basso, dove dei portuali,
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un movimento è pronto a bloccare i porti d'Europa, questo mi sembra incredibile,
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anche se poi bisogna partire dai giovani perché sono loro che continueranno la storia,
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forse è giusto che il nostro mandato, questo vale anche per i miei colleghi,
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di dedicarci di più a chi verrà, più che essere concentrati solamente su noi stessi.
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Ecco, piccolissime curiosità proprio cinefile, qual è o quali sono i film che da giovane
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ti hanno un po' aperto la testa e perché? Se ci ripensi un attimo al momento in cui
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tu non eri ancora diventato regista ma lavoravi...
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Ma sono tanti, sono troppi perché poi fino a 30 anni guardavo film perché per me era l'unico modo
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per imparare a fare il cinema, guardando i vecchi film ho studiato, tanto conosco bene il cinema italiano
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come conosco bene il cinema francese, ho studiato il cinema russo sicuramente, conosco meno quello americano
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probabilmente, ma sai quando il ragazzo prende spunti da tutte le parti, l'unico modo per fare cinema
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per me era imparare ad imparare da soli, ovvero guardando i film, poterli analizzare e poter avere
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uno sguardo a 360 gradi sull'altro, non mi sono mai interessati i modelli, credo nel metodo, allora c'era
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il metodo di Rossellini, c'era il metodo di Bresson, c'era il metodo di Rom, mi interessava innanzitutto
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analizzarli per imparare a farlo innanzitutto, non ho fatto a scuole di cinema e quello era l'unico
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approccio, l'unico modo per imparare a farlo e sono partito dal documentario non perché dall'inchiesta
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innanzitutto perché ho fatto tanta inchiesta, non perché mi interessava il documentario perché era lo
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strumento più accessibile per me per fare cinema. Ascolto, l'ultima insieme a battuta è proprio
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pensando a qualche minuto fa qui a Lucca, c'è stato come dire, c'è stato travolto tra virgolette
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dall'affetto di tante persone, è una cosa che ti imbarazza, ti inorgoglisce questo grande attestato
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di amore e di affetto che il pubblico ha nei tuoi confronti come autore perché ti riconosce come dire
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che hai lasciato traccia nel tempo attraverso i tuoi lavori, quanto ti inorgoglisce questa cosa?
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Ma sai, io ho lavorato sempre molto sulla mia vanità, sul mio narcisismo, come dire, mi sono sempre
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autocastrato abbastanza sai perché in fondo quello che facciamo portiamo sempre noi stessi e allora è un
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qualcosa che va anche ben gestito, sicuramente un film quando finisce un film è come una storia
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a modo che finisce un po' ti ricordi ma vuoi anche dimenticare perché in fondo quando penso ai miei film
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vedo i miei film tutti insieme, mi piacerebbe smontarli, rimontarli, rimettere insieme e in un certo senso
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la vita va avanti, anche noi ci emancipiamo da quel che facciamo, però sicuramente non potrò mai più
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realizzare i film che ho fatto da ragazzo come La bocca del lupo, Il passaggio della linea dove erano film
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veramente girati con pochissimo, dovevo imparare a fare tutto da solo, a montarli, produrli, a fare
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la fotografia, girare, probabilmente il mio privilegio è che ho imparato a fare l'operatore di macchina
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con la cinepresa e questo mi ha dato la possibilità di fare i film di finzione e di avere un rapporto
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diretto con gli attori, poi il resto credo che sia uno strumento violentissimo, la cinepresa, la telecamera,
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quel che sia, di filmare, per questo io mi pongo molte questioni etiche e morali del fare cinema
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e credo che sia importante, sia importante anche per chi inizia a fare cinema, di imporsi delle questioni
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morali del fare cinema, perché fare cinema, perché puntare una macchina, perché filmare, la necessità
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che è la base di tutto quello che facciamo. Molte grazie, in bocca al lupo. Grazie mille.
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Grazie mille.
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Grazie mille.
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Grazie mille.
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Grazie mille.
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