(di Stefano de Stefano, video di Luca Marconi) Un viaggio immersivo negli antichi antri partenopei delle cisterne dell’Acquedotto Augusteo del Serino, ma allo stesso tempo nelle coscienze del presente, di fronte alla crescente contaminazione dell’ambiente e ai danni prodotti dall’invasione in natura delle materie plastiche.Si può partire da qui, ma c’è ancora tanto altro da aggiungere, per inquadrare il progetto dell’artista Rosaria Corcione intitolato «Tessuti umani», un percorso a tappe, iniziato in giugno con il coinvolgimento di cittadini di più quartieri, chiamati a raccogliere e consegnare materiali di scarto destinati a trasformarsi in materia espressiva. Che oggi rappresenta il clou della mostra curata da Valentina Rippa e organizzata da Luisa Corcione, aperta al pubblico da ieri in via Arena Sanità 5, e visitabile fino al 25 ottobre il venerdì dalle 17 alle 19, e il sabato e la domenica dalle 10 alle 13.Un’occasione da non perdere per apprezzare un lavoro in progress che si arricchirà anche di un terzo elemento, un simulacro di corpo avvolto da etichette recuperate da bottiglie d’acqua che sarà realizzato il 10 ottobre, frutto di un lavoro collettivo con la cittadinanza. Un’aggiunta alla grande istallazione che fa da perno all’intero itinerario, ovvero uno schermo, posto a terra come un tappeto visivo su cui scorrono le immagini dei danni procurati dagli scarti plastici alle acque dolci e marine, con pesci morti e in decomposizione, e avvelenamenti idrici, mostrati proprio lì, nel luogo che delle acque pure del Serino era una sorta di grande ampolla sacra.Un’immagine forte resa ancora più vivida dai suoni della composizione elettroacustica di Marco Vidino che crea un paesaggio sonoro, fatto di frequenze, risonanze e modulazioni. E a completare l’immagine del video di Upside Production, elementi pendenti come filamenti rossi, simili a tessuti interni umani o animali, realizzati tutti con fibre naturali. Un impatto visivo forte che accompagna il visitatore anche nella ricerca delle altre opere, scheletri di casse toraciche, sospese come gabbie protettive degli elementi vitali, in cui si innervano anche ramoscelli metamorfici, presenti sin dalla più remota mitologia greca. O altre in rosso mostrate nella loro più drammatica scarnificazione.«L’acquedotto diventa così luogo di raccoglimento e contemplazione - scrive infine nella sua presentazione la curatrice Rippa - un organismo amplificato fatto di arterie, vene, ossa e trame cromatiche che emergono nell’oscurità del luogo. Le scelte materiche e tecnologiche mettono in evidenza la responsabilità dell’uomo nei confronti della natura, allontanando così ogni idealizzazione romantica».
Commenta prima di tutti