Rocce carsiche sono le vie del cuore, col sangue che colora ogni remoto anfratto, come l'acqua marina che si immette, e sbatte, ruzzola, s'affanna, sotto le rocce di questo dolce mare del mio Salento che ho fisso nel cuore. Oh, patrie mie, oh, flutti che correte dallo Jonio al Tirreno, e ritornate, tratturi antichi che vi somigliate, pur se su contorte vie vi sviluppate. Italica progenie, che spinta fuori dalla terra tua in punta allo stivale ti fermaste, gente della tribù d'Omero che sulla nuova terra vi insediaste, io nel sangue avverto i geni antichi, e la cultura vostra plasma il mio dna con la sua poesia e mi stupisce. E mi cullo nella fantasia degli esuli di ambo le contrade, nel loro spirito di forza di lottare per nuove progenie attive sviluppare. E rimpiango insieme a loro i lidi antichi, dei Calabri, dei Brutii e dei Messapi, e degli ostinati popoli Japigi. E nell'impegno di lotta contro le avversità di terre ingrate anch'io mi perdo, e nel cullarmi tra versi e melodie la mente mia disperdo come i primi cultori che le tracce antiche ai posteri lasciarono lungo le spiagge di un ingrato mare che sempre sospinse ad altri lidi i propri figli e li lasciò penare.