La casa si trovava a piano terra, c’era l’ingresso ed un lunghissimo corridoio con diverse porte, una per ogni stanza da letto, fino ad arrivare in un grande salone che era in pratica il posto maggiormente frequentato dalla famiglia, in effetti fungeva da soggiorno e sala da pranzo, e dava su un giardino abbastanza grande con un piccolo orto e qualche albero da frutta.
Il capo famiglia era un impiegato di banca 48 enne e la moglie una maestra di scuola elementare sulla quarantina; la prole, numerosa: cinque maschi e due femmine, che si distanziavano di due anni l’uno con l’altro, dai 16 ai 4 anni.
Viveva, con la già numerosa famiglia, il padre di lei. Aveva superato di poco l’ottantina, un commerciante di pellami ormai in pensione rimasto vedovo, che era andato ad abitare con l’unica figlia femmina; gli altri due figli maschi si erano trasferiti in altre città ben lontane da Napoli. Don Carmine, come affettuosamente veniva chiamato dai vicini ed in famiglia, una volta smessa l’attività, aveva venduto tutto ed il ricavato, diverse decine di milioni, lo aveva diviso tra i tre figli. La femmina, Camilla, aveva potuto realizzare il sogno dell’acquisto di quella casa. Nonostante guadagnassero bene, lei ed il marito Filippo non erano mai riusciti a mettere nulla da parte, i 7 figli, quasi tutti in età scolare, avevano tante di quelle esigenze che i soldi non bastavano mai. Quei milioni erano stati una vera manna dal cielo: “santi e benedetti”.
Erano gli inizi degli anni 90 e dieci anni prima c’era stato il terremoto, la città ancora risentiva, specialmente nei quartieri popolari, di quell’effetto sismico devastante nei segni chiaramente visibili. Loro abitavano in una zona centrale, ma, poiché il palazzo aveva subito grossi danni, si erano trasferiti nella zona collinare del Vomero dove prima erano
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