Normalmente il viaggio tra Chieti, la città dove abito, e Montepiano, il paese dei nonni paterni, non dura più di sei ore. La mattina partiamo verso le sette e arriviamo puntualmente a ora di pranzo. Le sei ore di viaggio, soste comprese, trascorrono spesso velocemente tra battute e scherzi vari. Il babbo è sempre il primo a creare l’atmosfera giusta iniziando con qualche barzelletta, poi la mamma che gli fa da spalla e, infine, noi, io e mia sorella, che ci aggreghiamo al coro. Questa volta, invece, sembra interminabile. Siamo partiti anche più presto del solito, appena ci è giunta la notizia, da zio Nicola, che il nonno è deceduto prima che facesse giorno. Siamo partiti nemmeno mezz’ora dopo, il tempo di svegliarci del tutto e vestirci. Papà, sin dalla partenza non ha detto nemmeno una parola, concentrato alla guida non ha mai distolto lo sguardo dalla strada. Mamma, anche lei in silenzio, ogni tanto gli ha fatto sentire la sua presenza con una leggera pressione della mano sul braccio, lui ha risposto declinando più volte il capo. Marika al mio fianco si è riaddormentata, lei ha solo dodici anni e, forse, non avverte completamente la gravità di quanto è successo. Io, di anni ne ho già venti, ho anche la patente, spesso papà mi fa guidare ma oggi non credo che mi dirà qualcosa e, francamente, non ho voglia di mettermi al volante. La strada è quasi sgombra, poco traffico, in fin dei conti siamo a metà settimana a metà di ottobre, anche per i pendolari è ancora presto. Preferisco allora chiudere gli occhi, ma non per dormire, voglio pensare al nonno, che ormai non c’è più. Lo rivedo, allegro e buontempone come sempre, una vecchia quercia di ottantadue anni, alta e massiccia. Ultimamente i tanti malanni che lo affliggevano si sono aggravati tutti insieme e già da
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