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  • 23/08/2013
Lettura di Cristina Penco.

Fu esattamente così che avvenne; erano trascorsi undici mesi e quattro giorni dal nostro ultimo incontro, intorno a noi gli amici più cari, i parenti, alcuni conoscenti e molti sconosciuti, almeno per quanto mi riguardava.
Lui, chiuso a chiave in quella che poteva essere un’astronave dal ricordo di sarcofago egizio, lo immaginavo addormentato e sono certa che stesse sorridendo mentre noi altri faticavamo a figurarci quel suo lato burlesco intriso di segreta saggezza ed innovativa poesia.
Proprio come allora la giornata trascorse sazia di ogni bene, il sole dolcemente caldo entrato sobriamente dalla finestra spalancata, aveva irradiato fino a qualche quarto d’ora prima la metà del mio letto lasciandolo intriso di un aroma senza pari che si può solamente trovare tra la fine dell’infanzia e la via verso la completa maturità dei sensi; quando vi entrai il cuscino mi accolse come da tempo non accadeva infatti non ebbi nemmeno voce per sussurrare:
- Buona notte amore.-
che piombai nel sonno più profondo paragonabile, suppongo, alla fase di pre-morte.
Mi ritrovai a correre ed in tutta onestà, si trattava di una corsa senza alcuna fatica anzi potrei persino dire leggera come fosse volo di farfalla, il mio fisico sembrava non accusare sforzo muscolare provando quasi divertimento nello sfidare leggi gravitazionali; correvo dicevo, dentro una luce densamente bianca e guaritrice dove nulla mi apparteneva o poteva essere vagamente familiare, solo quando incontrai alcune sagome pressoché umane, principiai a rallentare il passo per assimilare con la vista acuminata il paesaggio circostante.
Questo luogo non era del tutto inesplorato eppure sempre nuovo e mutabile come se stessi osservando una chiazza d’olio sull’asfalto rovente tentando di fissare nella mente un colore ben prestabilito e questo, in un

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