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  • 12 anni fa
Lettura di Carla Scotto.

DEDICATA AGLI AMICI IL 23 GENNAIO 2011 CON UN GRAZIE!

Sono assolutamente convinto che chi non ha mai provato l'ebbrezza di stare in piedi sulla prora di una nave o meglio di una barca a vela, dove non esiste rumore di motore e odore di petrolio combusto, non potrà mai dire di essere entrato in comunione con il mare, con il cuore della Natura incontaminata.
L'aria impregnata di salsedine ti accarezza il viso, il vento ti scompiglia i capelli, qualche spruzzo d'acqua salata ti bagna il viso, inconsciamente con la lingua lo vai a tastare, come se cercassi il rassicurante liquido amniotico nel ventre della madre. Un istinto ancestrale ti porta a socchiudere gli occhi per guardare lontano, verso l'orizzonte; pochi suoni, a parte lo sciabordio della prora che fende altalenando l'onda e, ogni tanto, il saluto vocale di un gabbiano ti accompagnano.
Con le gambe presto ti adegui al ritmo delle onde: beccheggio, rollio, di nuovo beccheggio, ancora rollio. La presenza di una sartia tesa vicino a te dà sicurezza, ma assumi una posizione quasi di sfida a fronteggiare il mare, sempre scrutando in avanti.
Ogni tanto getti un'occhiata a poppavia e alle vele, sono gonfie, gravide di vento, simboleggiano la forza motrice della Natura che l'uomo ha saputo sfruttare; uno sguardo e un sorriso ai compagni di viaggio, poi di nuovo guardando avanti verso l'ignoto.
In quel momento non si è più noi stessi, ma la reincarnazione di Giasone, alla ricerca del "vello d'oro" o di Cristoforo Colombo o di Capitan Cook; bisogna amare il mare, per sentirsi amati da lui.......

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