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Storie di confine: Alessandro Cattunar e l'importanza di Gorizia-Nova Gorica
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Ho realizzato di abitare su un confine fin da bambino, quando insieme ai miei genitori
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quel confine lo attraversavamo, lo attraversavamo piuttosto di frequente.
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Era un confine che attraversavamo per un motivo bello, che era l'andare in vacanza in Istria.
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Il confine era in realtà attraversare due confini, perché attraversavo sia quello con la Slovenia
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che quello con la Croazia, il luogo per me più rappresentativo di che cos'è Gorizia,
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nuova Gorizia, capitale europea della cultura, e il piccolo valico del Raffuto, un luogo
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apparentemente banale, segnato da due piccole casette, da una sbarra col tripolore bianco-rosso
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e verde, la ferrovia che passa a pochi metri di distanza, e in queste due casette si è
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deciso di creare un luogo di narrazione di quelli che sono forse i due momenti e le due pratiche
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che più hanno segnato questo confine.
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Cioè le pratiche di controllo dei documenti, le pratiche di attraversamento legato alle questioni
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ufficiali della dogana, del valico, e quindi da una parte è stato creato il museo Lascia
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Passare Tre Pusnizza e dall'altra parte il museo del contrabbando, quindi un luogo in cui
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si raccontano i passaggi soprattutto di merci, quei piccoli e grandi contrabbandi che hanno
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veramente segnato l'immaginario dei Goriziani. Per chi viene da fuori, finalmente c'è stata
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l'occasione di capire quel confine, è così strano capire perché la cortina di ferro passasse
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in mezzo ai cortili delle case, sotto le pance delle mucche, come nell'immagine che dà il via
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al libro che ho scritto, è un'immagine ormai diventata iconica, una mucca in mezzo al suo
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cortile, sotto di lei passa una linea bianca e lei è ferma lì, non vuole spostarsi, sarebbe
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obbligata a scegliere se stare a destra dove ce la sta, a sinistra dove c'è il fieno e
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dove può mangiare. Lei non vuole rinunciare a due cose che sono fondamentali per la sua vita.
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Altrettanto, lo stesso giorno, quel 16 di settembre del 1947, tanti Goriziani dovranno
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fare la stessa cosa che deve fare la mucca, scegliere. Scegliere cosa abbandonare, cosa
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lasciare di là e scegliere dove andare, dove andare a vivere, quale nazionalità acquisire
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se diventare italiano o se diventare jugoslavo. Oggi Piazza Transalpina è uno di quei luoghi
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che addensano significati simbolici in maniera fortissima. Lì si addensano tutte le principali
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fasi di questa storia. Innanzitutto quella piazza viene creata nel 1906 con un obiettivo
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chiaro, collegare Gorizia col centro dell'impero, quindi creare un collegamento fra tutto il mondo
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tedesco-ungherese e l'Adriatico. E fa di Gorizia un punto di passaggio, di turismo. Poi diventa
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la Gorizia attraversata dal confine, perché nel 1947 il confine taglia a metà quella piazza
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rettangolare proprio per lasciare la stazione della Transalpina da parte jugoslava. E avere
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una piazza perfettamente tagliata a metà è uno di quei luoghi simbolici che veramente
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pochi ce ne sono in giro per l'Europa. Franco Basaglia si ritrova ad operare in un luogo
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veramente speciale. Nel 1961 diventa direttore dell'ospedale psichiatrico provinciale di Gorizia.
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Questo ospedale si trova collocato in un bellissimo parco, che oggi ha il nome di Basaglia stesso,
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e questo parco confine esattamente con la Jugoslavia. Franco Basaglia nel corso degli anni
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sessanta decide di agire attivamente politicamente per superare quel confine fra salute e malattia,
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per superare un insieme di pratiche che nascondono in realtà un'ideologia, una certa concezione
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dell'essere umano, del malato, che era ormai fuori dal tempo e doveva essere superata. Basaglia trova
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in Gorizia l'occasione per dire no, io non ci sto. Gorizia è attraversata innanzitutto da un fiume,
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un fiume dai due nomi, Isonzo Socia, come in italiano uno in sloveno, in italiano è al maschile,
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Isonzo in sloveno la socia è femminile, ed è un fiume che a lungo è stato un fiume che ha unito il
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territorio e che poi in qualche modo è coinciso col confine dividendolo. Il paesaggio fluviale,
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questo scorrere di acqua e di un azzurro veramente unico nel panorama dei fiumi europei,
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segna un po' il carattere di questo territorio in cui è tutto un fluire di identità difficili da
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fotografare, difficili da fermare. Il fatto che si possa conservare le diversità all'interno di uno stesso
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territorio lo sento come l'essenza di Gorizia che oggi posso ritrovare in una dimensione molto
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più ampia a livello europeo. Io vedo nella univocità nazionale un impoverimento invece nella capacità di
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tenere insieme le diversità una ricchezza. Un territorio così dove nell'arco di 2-3 chilometri di
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passeggiata uno riesce ad attraversare la storia del Novecento, veramente tutta la prima metà del
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Novecento si può trovare lungo le strade di Gorizia a Nuova Gorizia, mi sarei aspettato diventasse
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appunto di attrazione turistica molto prima. L'ho diventato per fortuna negli ultimi vent'anni,
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dopo il 2004, sicuramente moltissimo dopo la candidatura a Capitale Europea della Cultura. Credo che
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sia uno di quei casi in cui il turismo è importante ed è importante che ci sia turismo,
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perché scoprire questo confine, capirne la storia che sta dietro, ci permette di analizzare anche il
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presente, di capire molti confini che oggi come oggi sono confini complessi. Gorizia richiede un
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lavoro di approfondimento, di narrazione, di fermarsi in quei luoghi a capirne i dettagli ed è un tipo di
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turismo che a me piace molto. E finalmente c'è l'occasione di pensare le due città come una città sola.
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