Bettino Craxi, sull’Europa come sull’Italia, è stata la cassandra del nostro tempo.
Ha parlato ed ha continuato a farlo, tra il silenzio e la derisione generale, anche negli anni dolorosi di Hammamet.
Craxi aveva visto molto, se non tutto, di quello che è e di quello che rischia di essere l’Europa se non ripartiamo dai valori comuni e dalle premesse che furono alla base di un progetto di pace, di progresso e di civiltà.
In questi anni abbiamo smarrito la rotta e navighiamo a vista e senza bussola.
L’Europa delle burocrazie, delle regole come dogmi, dell’austerità e delle nuove frontiere, è il frutto avvelenato di un progetto di integrazione che ha tradito lo spirito delle origini.
Gli Stati non sono entità astratte e metafisiche. Esistono. Come esistono i popoli. Sono realtà composte da uomini e donne, con le loro legittime aspirazioni, i loro bisogni e le loro necessità, con la loro dignità e voglia di futuro; non sempre tutto ciò, specie durante le crisi, può riassumersi in formule algide.
Le sue parole, i suoi moniti, i suoi lucidi messaggi inviati in una sorta di bottiglia di vetro lanciata verso l’Italia, da quella sponda Sud del Mediterraneo che tanto ha amato e per cui tanto si è speso, non sono stati raccolti.
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