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  • 2 giorni fa







Negli ultimi anni il Black Friday ha iniziato a dividere il mondo della moda, e sempre più brand hanno iniziato a dire no: stop alla maratona degli sconti, è la filosofia, ma acquisti consapevoli per sfilarsi dal meccanismo del consumo impulsivo. Una nuova sensibilità, che cresce stagione dopo stagione e porta con sé linguaggi e strategie molto diversi tra loro.

I brand che dicono no al Black Friday
Ecoalf, per esempio, ha ribadito anche quest’anno il suo “No al Black Friday”. Nessun ribasso, nessuna corsa all’acquisto last minute: solo un invito a rallentare, a usare meglio ciò che già abbiamo, a preferire capi che durano. Una presa di posizione netta, coerente con l’identità del marchio e con il suo impegno nella moda responsabile. Qui il messaggio è chiaro: la sostenibilità non si gioca sullo sconto, ma sulle scelte quotidiane.
C’è poi Sézane, che ha trasformato il giorno degli sconti in un’altra cosa: il Solidarity Thursday. Non una negazione, ma una deviazione elegante. Al posto delle promozioni, un’iniziativa che mette al centro la solidarietà e l’impatto sociale, spostando l’attenzione dall’acquisto al gesto. Una mossa che parla molto alla community del brand, ormai parte integrante della sua estetica e della sua narrazione.

Come cambia forma il Black Friday
Accanto a loro, altri marchi stanno ridefinendo il significato del Black Friday. Asket, etichetta svedese nota per il suo minimalismo responsabile, ogni anno “chiude” volutamente l’e-commerce, invitando i clienti a prendersi cura dei capi che hanno già.
Veja, brand di sneakers sostenibili, preferisce promuovere la riparazione delle scarpe invece degli sconti, ribadendo che la longevità è il vero lusso contemporaneo. Freitag, invece, trasforma addirittura i negozi in spazi di scambio: un Swap Friday che invita a dare nuova vita alle borse già usate, anziché comprarne di nuove.

Il caso Patagonia (e le critiche)
Il caso Patagonia, infine, resta un unicum. Da anni il brand è tra le voci più radicali contro il consumismo, ma non mancano le critiche. L’attivista Venetia LaManna, sotto uno dei post dedicati alla settimana del Black Friday, ha commentato: “Sarebbe fantastico scoprire la verità su quanti capi producete ogni anno, questo non è il vostro vero report". Un promemoria importante: dire “no” non basta, se poi i numeri della produzione restano poco trasparenti.
Il rifiuto del Black Friday diventa così un linguaggio: un gesto simbolico, certo, ma anche un modo fashion per dichiarare da che parte si vuole stare.
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